About Us

Chi siamo? Boh. Visionarie, probabilmente, gente a cui piace scrivere, buttare tutto alle spalle e infilarci in una storia, un piccolo universo perfetto creato su misura per noi. Senza pretese, senza troppi fronzoli. Solo scrittura.
giovedì 31 ottobre 2013
Una come tante, Jenny.
Con un viso spigoloso e il vizio di mordersi il labbro ogni volta che pensa a qualcosa.
Un libro aperto, Jenny.
Se la guardi in faccia capisci subito cosa le passa per la testa.
Io non le ho mai parlato, eppure siamo seduti nello stesso reparto, l'uno dinnanzi all'altro.
Lei è l'addetta alla cestinazione.
Ecco perchè tutti la chiamano Jenny Papercut.
Sembra che Jenny cestini anche nella vita, due ex mariti e dei genitori che non sente da tempo.
Non ha figli, Jenny.
Dice che i bambini le piacciono ma non si sente pronta.
Ora che ci penso, quasi nessuno parla mai con Jenny e non perchè è temuta o particolarmente stimata o chi sà che altro. Semplicemente perchè se ne stà un po' sulle sue, lavora per guadagnare.
Eppure si sanno un sacco di cose su di lei.
Si dice, a quanto pare, che sia stata un'alcolista, Jenny.
Beveva tutti i giorni alle otto da Nicky Fritz, il pub sotto l'azienda. Un mercoledì è venuta a lavoro ubriaca.
Giuro di averla vista inoltre fare shopping in un convenience store, Jenny.
Dicono sia un po' tirchia, sapete?
Voglio dire, non che si guadagni granchè, cestinando, però è un po' avaretta.
Mi dissero ad una cena che và a fare beneficienza, Jenny.
La trovo una gran bella cosa, io non l'ho mai fatto e penso sempre che dovrei farlo, fare beneficienza, voglio dire, ti deve far sentire alla grande, penso. Ecco come mai spariscono tutte quelle ciambelle dalla mensa, dev'essere Jenny che le porta alla mensa dei poveri.
Disegna molto bene, Jenny.
Ha fatto un grande quadro che ora stà nella reception, ogni volta che lo guardo mi sfugge un sorriso orgoglioso dato che ci descrive come una squadra di importanti paladini della giustizia imprenditoriale. Insomma, roba forte, è una tosta, Jenny!
Per un periodo ha portato i capelli rasati, Jenny.
Poi lunghi e rossi, ricci e biondi e lisci e neri.
Cambia spesso, gli occhi brillanti e sognanti. Un giorno in talieur e l'altro in giubba di pelle e shorts.
Credo...si, credo che tuttosommato io ami Jenny, follemente.
Ne amo una o forse centomila, tutte le sue facce e tutti gli spigoli del suo viso magro.
Jenny...
Potrei scegliere quale Jenny amare se non fossi così convinto che qualunque altra Jenny potrebbe avere qualcosa di perfetto per me.
Eppure...non le ho ancora parlato, ho solo sentito dire su di lei.
Come quando nel caos finisci con l'accorgerti che in realtà tutti stanno in silenzio e nessuno, in realtà, ti ha mai rivolto veramente la parola.
Incognito.
Me lo hanno sempre detto, un giorno ti guarderai alle spalle e non troverai altro che immondizia.
Ho una domanda.
Ti sveglierai una mattina e tua moglie se ne sarà andata via con il tuo vicino. Alle Bahamas, mi hanno detto dei conoscenti anaonimi.
Un'incognita.
Tuo figlio ti guarderà negli occhi arrabbiato, spaesato e spaventato. Mangiava tutte le mattine i Korn Flakes della solita marca ma io non la conosco.
Senza spiegazione.
I tuoi parenti ti volteranno le spalle, sorridendoti comprensivi. Questo Natale, tutti impegnati.
Sulla mia vita.
Investirai, perderai un'occhio. Bisogna rispettare lo stop, due feriti e un cadavere.
Sul mondo che vivo.
In ospedale ti provocheranno un'infezione. La setticemia, brutta bestia.
Mi correggo.
Tuo figlio verrà a trovarti solo l'ultimo giorno. Sai papà, andrò a studiare all'estero.
Sul mondo che occupo.
Gli dirai che sei felice, gli auguri il meglio. Parto domani, non sò quando torno.
Una sopravvivenza feroce.
Attorno a te vedrai il vuoto. Un buco nero che risucchia la luce.
Non ne hai voglia.
Avrai un infarto fulminante mentre guardi i mondiali di calcio. La solitudine è in grado di uccidere.
Ancora una volta chiedi.
Al tuo funerale la chiesa sarà affollata, ogni posto occupato. Siamo dovuti rimanere fuori, dentro era troppo pieno.
Chi ho guardato in faccia, sino ad ora?
Le senti come ti rimbombano nel cervello, le campane, Dorys?
Ti scrivo oggi perchè così, finalmente, potrò andare via senza la paura angosciante di averti sulla coscienza.
Avevi quindici anni quando, assieme a tua madre, ti affidai alle cure di Sorella Campbell. Eri nel fiore degli anni e credevo che questo ti avrebbe solo migliorata.
Insomma, Dorys, saresti diventata un angelo perfetto! L'angelo perfetto della nostra famiglia!
Devi sapere, mio tesoro, che subito dopo averti lasciata al convento andammo a festeggiare a casa del cugino Roth.
Da allora andavo a raccontare, fiero, della mia ragazza in clausura ed ero estremamente soddisfatto delle facce stupite e cariche di stima dei miei colleghi!
Ricordo che ad ogni chiamata, quella che potevi permetterti una volta al mese, la tua voce si spegneva sempre più. Quegli epiteti affettuosi che in verità adesso mi paiono molto forzati sono andati morendo col tempo.
Ma a me e tua madre non importava. Eravamo così fieri della nostra creatura in convento.

Dopo una ventina d'anni tua madre, come ben sai, s'ammalò di tumore.
Al chè pensai "ma com'è possibile?! Dorys sta pregando! Prega per noi, prega per la nostra famiglia!"
Quando tua madre morì tu non venisti al funerale. Io e i tuoi fratelli pensammo che la clausura ti forzava, ovviamente.
Eppure mi sembrava così surreale, così strano.
Dopo appena due mesi tuo fratello Charles venne investito mentre accompagnava il figlioletto a scuola. Persero entrambi la vita e ancora una volta tu non venisti al funerale. Le campane, quando suonavano, sembravano quasi più acute.

Erano già passati cinque anni da quei tristi episodi.
In quei cinque anni ci sentimmo appena tre volte e tu non sembravi più tu. Avevi una voce terribilmente diversa.
Un venerdì, poco prima della Pasqua, tua sorella Linda venne aggredita nella sua casa, durante una rapina.
Rimase in coma - e lo è ancora - mentre la sua bambina morì.

Al funerale mandasti un mazzetto di fiori...di quelli che si trovano nei giardini. Pensai che sicuramente devi averli colti nel giardino del convento e allora presi la cosa come un atto del cielo. In mezzo a tanto orrore, forse, lassù qualcuno mi benediva.
Le campane, però, erano diventate insopportabili.

Ero rimasto io, vecchio burbero senza più nè moglie nè figli, a parte te, Dorys.
Allora presi la decisione di venirti a trovare in convento.
In realtà mi sono sempre chiesto del perchè non venisti mai tu a trovarci.

Quando ti incontrai, nella mia testa, risuonarono campane a lutto.
Vidi una donna scialba, magra e spigolosa, con il viso scavato e l'espressione austera.
Non eri più tu, Dorys.

Ricordo che rimasi sconvolto dalla tua freddezza. Insomma! Ti avevo affidato al Signore per farti abbellire, per farti migliorare! E invece...invece eri palesemente svuotata di tutto.
Litigammo, o meglio, io mi scaldai tanto che la Madre Superiora fù costretta a mandarmi via.
Non volli più sentirti nè metter piede in quel convento. In verità non correvo neanche il rischio che ciò accadesse.

Ora, che anche io sono prossimo alla morte, mi accorgo di una cosa...
Negli ultimi tempi mi ero sempre più convinto che lassù non esistesse nessuno. A chi avevo dato mia figlia?!
Ci aveva procurato solo disgrazie!
Ora...però, che sto per morire anche io, mi accorgo...mi accorgo che Dio esiste, esiste davvero!

Dorys era una bambina scialba, buona ma insignificante. Io stravedevo per Charles e adoravo Linda. Ma Dorys...eri così...futile. Non eri brava a scuola, nè nelle faccende domestiche, non sapevi ricamare e neanche praticare uno sport. Te ne stavi tutto il tempo rintanata nella tua camera con quegli insulsi libri tra le mani e non calcolavi nessuno.
Allora trovai io il modo di darti splendore.
Quando ti annunciai che saresti stata chiusa in Clausura scappasti via e Charlie dovette venire a prenderti, ti riportò a casa tirandoti dai capelli.

Dorys, la prima figlia a morire sei stata tu.
Io ti ho uccisa.

Dio che è giusto, mi ha tolto tre volte quanto io ho tolto a te, lasciando me a vivere la mia miserevole vita e te, che ora come ora, penso di non conoscerti più. Chi è, Dorys?
Non ho mai dato al tempo la possibilità di parlare e ora...neanche tu vuoi raccontarmi la tua storia.

Allora voglio approfittarne io, per scriverti la mia, che è scialba e miserabile. L'esistenza di un vecchio che si conclude con lui che non ha nulla, se non un bicchiere di vino alla sera.

Sento ancora le campane, le sento sempre più spesso.
Le sento anche adesso, assordanti e insistenti come mai.
Volevo salvarmi, signore, ma l'agnello che ho immolato meritava più salvezza di me.